Individuato il meccanismo di anedonia da dolore
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 23 ottobre 2021.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Se si
stimola un cervello in toto a bassa frequenza, cosa accade? Si induce
analgesia. Se una persona che avverte un dolore si spoglia nuda e si guarda
allo specchio, cosa accade? Il dolore diminuisce, ossia si innalza la sua
soglia. Se si stimolano con aghi rotanti ad alta frequenza le radici posteriori
del midollo spinale di una persona sofferente per un dolore somatico, cosa
accade? Per interferenza al varco della soglia spinale e lungo le vie
ascendenti si riduce il dolore. E se invece si induce una reazione di stress
in una persona che patisce di un dolore somatico, cosa accade? Il dolore è
maggiore. E se la stessa persona ha paura, si spaventa o è sottoposta a un
evento di grande impatto emotivo, cosa accade? Cresce la sofferenza. Se si dice
a una persona che il dolore che sta patendo crescerà progressivamente se non
assume subito un analgesico, cosa accade? Il dolore aumenta[1].
Con queste
semplici domande e risposte ho voluto introdurre una caratteristica di grande
rilievo fisiologico della più importante percezione protopatica dell’organismo
animale, cioè una la peculiare influenzabilità che ci riporta alla sua natura
di endopercezione, contrapposta all’esopercezione, soprattutto nel
paragone con quelle visiva, acustica e olfattiva, in quanto evocata da segnali
provenienti dall’organismo e non da stimoli provenienti dal mondo fisico
esterno, e dunque più strettamente dipendente dagli stati fisiologici
contemporaneamente generati nel sistema nervoso centrale e nel resto del corpo.
Ma,
proprio per questo carattere di sensazione generata all’interno del corpo, il
dolore di grado elevato, e particolarmente la sofferenza nelle sue espressioni
più pervasive e invalidanti, quali quelle croniche intrattabili, influisce a
sua volta sulla fisiologia del sistema nervoso centrale, interessando alcune
importanti reti e vie, con effetti a volte più generali sulla persona, in termini
psichici e psicofisici.
Il dolore
è così definito: “Una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata
a danno tessutale attuale o potenziale o descritta nei termini di tale danno”[2]. La definizione fu proposta dall’International
Society for the Study of Pain (IASP) nel 1979 e
confermata fino ad oggi perché “La lesione, come riferimento imprescindibile,
spiega la centralità della conoscenza delle basi molecolari e della neuroanatomia
del sistema che consente la percezione della sensazione algica e ispira la
pratica clinica”[3].
Dunque,
deve esservi danno tessutale o cellulare, anche se microscopico o molecolare
minimo; tuttavia, la componente infiammatoria presente nel dolore morale associato
a disturbi depressivi, ansiosi e da stress, ha molti elementi in comune
con la reazione infiammatoria che accompagna il dolore organico traumatico,
patologico e neuropatico.
È comune
esperienza che soffrire di un fastidioso dolore persistente, come una lombalgia,
una cefalea o anche solo la morsa di scarpe troppo strette, può rendere
irritabili, mentre è una specifica nozione medica che un dolore cronico possa interferire
con gli affetti espansivi, ridurre drasticamente la capacità di provare
sensazioni piacevoli e contribuire a processi di inibizione depressiva con
mancanza di iniziativa, interesse e motivazione.
Recentemente
sono stati avviati numerosi progetti di ricerca per definire le basi
neurobiologiche e neurofunzionali dell’anedonia indotta dal dolore, una
conseguenza ancora poco considerata nella pratica clinica. In passato, infatti,
l’anedonia era conosciuta solo come sintomo psicopatologico, tipicamente
rilevato nelle forme gravi di depressione.
Tamara
Markovic e colleghi della Washington University di St. Louis, coordinati da José
A. Moron, hanno indagato nei roditori le basi neurali
del processo innescato dal dolore infiammatorio e in grado di generare un
comportamento simile all’anedonia umana, ottenendo prove sperimentali di un
adattamento funzionale mai provato in precedenza.
(Markovic T., et al., Pain induces adaptation in ventral tegmental area dopamine neurons
to drive anhedonia-like behavior. Nature Neuroscience –
Epub ahead of print doi: 10.1038/s41593-021-00924-3, 2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neuroscience,
Washington University in St. Louis, St. Louis, MO (USA); Department of Anesthesiology,
Washington University in St. Louis, St. Louis, MO (USA); Pain Center, Washington
University in St. Louis, St. Louis, MO (USA); School of Medicine, Washington University
in St. Louis, St. Louis, MO (USA).
In senso
proprio l’anedonia in clinica psichiatrica si riferisce all’incapacità o
impossibilità di provare piacere, con particolare riferimento al difetto dello stato
psichico che accompagna le esperienze piacevoli. Anche se questo sintomo è
caratteristico della depressione maggiore e di altre forme non lievi di stati
depressivi, non è esclusivo di questo ambito psicopatologico, e può rilevarsi talvolta
nella schizofrenia, in particolare in quelle forme caratterizzate da immobilismo,
abulia, rallentamento del pensiero e alterazioni del tono muscolare fisiologico,
che nella vecchia classificazione erano definite catatoniche.
Attualmente,
nelle neuroscienze sperimentali, e in particolare nella ricerca neurobiologica
condotta su modelli animali, si sta diffondendo un significato un po’ diverso e
molto più ampio del termine anedonia, che comprende processi comunemente
distinti e separati in psichiatria, quali la perdita di iniziativa (inibizione),
di reattività affettiva ed emozionale (apatia), di interessi e progetti
(abulia) e di attesa positiva e conazione (demotivazione).
La
ragione di questa nuova e più estesa accezione operativa del termine è
facilmente intuibile: i modelli murini possono fornire un solo pattern
comportamentale misurabile, che copre tutta la gamma dei deficit umani che
vanno dalla perdita del piacere a quella della motivazione progettuale.
Un’altra
differenza tra il significato clinico (adoperato in psichiatria, neurologia,
psicosomatica, psicoimmunologia, psicoterapie, ecc.) e l’accezione corrente
nella ricerca neurobiologica riguarda il valore del termine affetto; tralasciando
tutti gli altri casi, qui menzioniamo solo la differenza che ci interessa per lo
studio che stiamo presentando: gli autori parlano di affetto negativo al
singolare, quale equivalente murino di tutta la gamma degli affetti negativi
umani. Nella nostra realtà, infatti, fra gli affetti negativi si
menzionano tanti stati psichici differenti per esperienza e processo cerebrale:
tristezza, rabbia, paura, ostilità, scoraggiamento, delusione, odio, timore,
disprezzo, disperazione, rivalsa, avversione, disgusto, ecc.
José A. Moron, Tamara Markovic e gli altri colleghi della
Washington University di St. Louis, dove ha lavorato a lungo Rita Levi-Montalcini,
hanno cercato di individuare il circuito neuronico sottostante l’adattamento
comportamentale dell’anedonia da dolore, indagando anche lo
specifico contributo di singole popolazioni cellulari. Introducendo il loro
lavoro, i ricercatori hanno in questo modo fornito una loro definizione di
anedonia: una caratteristica comune dell’affetto negativo è una riduzione della
motivazione a iniziare e completare il comportamento diretto a uno scopo,
conosciuta come “anedonia”.
La
sperimentazione ha evidenziato che, nei roditori, il dolore infiammatorio
riduceva l’attività della popolazione di neuroni dopaminergici (DA) dell’area
tegmentale ventrale (VTA) che ha un ruolo critico nella mediazione degli stati
motivazionali.
Il dolore
aumentava il tono inibitorio del nucleo tegmentale rostro-mediale
sui neuroni DA della VTA, rendendo questa popolazione neuronica meno
eccitabile. La ridotta attività dopaminergica era associata a ridotta
motivazione – provata dall’osservazione comportamentale dei roditori – per le
ricompense naturali, coerentemente con il pattern comportamentale
equivalente dell’anedonia.
L’attivazione
selettiva dei neuroni DA della VTA era sufficiente a ristabilire la motivazione
fisiologica di base e le risposte edoniche alle ricompense naturali.
Nel loro
insieme, i risultati ottenuti in questo studio, per il cui dettaglio si rimanda
alla lettura integrale del testo dell’articolo originale, rivelano adattamenti
indotti dal dolore all’interno dei neuroni DA della VTA che mediano il
comportamento anedonico, individuando nel nucleo
tegmentale rostro-mediale il collegamento chiave tra sistemi nocicettivi
e sistema a ricompensa.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella
Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-23 ottobre 2021
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1]
Gli esempi sono tratti da
Giuseppe Perrella, Introduzione allo studio delle basi neuroscientifiche del
dolore. BM&L-Italia, Firenze 2005.
[2] Giuseppe Perrella, Il Disturbo
Post-Traumatico da Stress (PTSD), p. 53, Dipartimento di Neuroscienze,
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Federico II, Napoli 2005; cfr. C. R.
Chapman, Pain, pp. 1-6 in Encyclopedia of
Cognitive Sciences, Nature Publishing Group, London 2003.
[3] Giuseppe Perrella, op cit.,
idem.